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La Gazzetta del Mezzogiorno
Famiglia, più vicina se è più lontana.
di Diego Zandel

gazzettamezzogiorno-3Seppur scritto in terza persona, il romanzo Il resto del giorno di Laura Lauzzana, una scrittrice che vanta prestigiosi riconoscimenti nel campo della antropologia sociale (ha vinto il primo premio «Grinzane Cavour» per la proposta di un programma culturale sulle leggende metropolitane), ha l’incedere di un mémoire.

Racconta la vita di Mara, che conosciamo bambina sui monti della Carnia (e poi «migrante» con la famiglia al mare del Veneto dove il padre troverà lavoro come cameriere in un albergo della riviera), e lasciamo ormai donna, prima universitaria a Roma, poi in cerca di occupazione a Milano, e infine vediamo tornare dai suoi, al mare, per ritrovare, nell’elegia di una scrittura compatta, senza sbavature né inutili sentimentalismi, la parte più profonda di sé. Un romanzo che, pur nella semplicità del dettato, ha diverse chiavi di lettura.

Abbiamo intervistato l’autrice.

Nel suo romanzo il sentimento prevalente nella bambina Mara è quello della vergogna. Cosa la faceva sentire diversa?
«La vergogna nasce sempre dal confronto con l’altro, dall’avver tire su di sé uno sguardo indagatore e spietato. Mara, bambina, estraniata dalla freddezza della madre, si sente a sua volta estranea al caos della casa e della famiglia numerosa che battaglia per la sopravvivenza quotidiana. La vergogna di sé compromette le sue relazioni sociali, la conduce al rifiuto del proprio corpo. Rispetto ai familiari e ai coetanei assume la propria diversità come colpa, che diventa esistenziale. Crescendo senza uno sguardo amorevole su di sé che dia sicurezza, Mara si confina ai margini della società e da lì si fa osservatrice, spera di sottrarsi al giudizio degli altri ».

C’è una galleria di parenti, zii, nonni… In che misura può essere letta la sua anche come una storia famigliare?
«Seguendo la crescita di Mara, si seguono anche le vicende e le trasformazioni di una famiglia e dei rapporti parentali. Destini intrecciati da rapporti di sangue che agli occhi di Mara bambina sembrano moltiplicarsi a dismisura. Figure e generazioni diverse si intersecano in quella terra del Friuli che, pur lentamente, subirà comunque il cambiamento verso la modernità, attenuando l’at – taccamento alla terra, con i suoi rituali sociali e religiosi, abbandonando tradizioni che avevano un tempo amalgamato i rapporti umani nel segno della solidarietà». Tuttavia, il trasferimento dal chiuso Friuli dei monti al mare del Veneto è lo snodo fondamentale nella vita di M a ra … «Sì, il rapporto di Mara con certe figure parentali è di estrema importanza, perché lì ritrova quella dolcezza che la madre non sa esprimerle. Sotto la scorza ruvida di quei friulani, Mara percepisce sentimenti genuini, un calore che la riscalda. Ma il villaggio sul mare in cui Mara si troverà a vivere la propria infanzia e adolescenza diventerà per lei la vera casa. La Natura si fa grembo materno dove Mara può dissolvere i propri disagi e il suo corpo può non avere forma. L’orizzonte mai fermo tra cielo e mare diventa un’imma ginaria via di fuga dagli obblighi e restrizioni sociali, dal marchio di diversa che Mara si sente addosso».

C’è un altro aspetto che si coglie nel seguire la vita di Mara fino all’Università, a Roma, i primi amori: quello del romanzo di formazione quando la bambina ormai donna supera, vince, il disagio della lontana vergogna. È d’accordo?
«Il libro è stato definito come un romanzo di formazione, ma è ben lontano dalla forma classica di questo genere. La storia narrata non è il passaggio ottimistico dalla gioventù alla maturità, ma, essendo calata nella società di oggi, riproduce quelle incertezze e contraddizioni che minano la fiducia nell’adultità e fanno prolungare lo stato dell’adole – scenza che non è più uno stato anagrafico. Mara, in questo, è uno specchio dei tempi perché rappresenta il disagio di chi deve crescere e non riesce a integrarsi in una società esageratamente competitiva, ostaggio di adulti che appaiono minacciosi».

Lei è antropologa, ha lavorato sul campo sia in Tanzania che in Italia con ricerche sulle dinamiche dell’immigrazione. Ha fatto uso di questi strumenti per il suo romanzo?
«Sì, il libro ha anche uno sfondo di riflessione sociologica/antropologica. Da una parte mostra la difficoltà di crescere nella “società liquida” di oggi, con le sue forme continuamente mutevoli, l’eccessivo zelo o necessità di stare sempre al passo coi tempi. Dall’altra è un libro della memoria, che recupera valori di una volta, della società contadina, in contrapposizione ai ritmi veloci delle metropoli in cui Mara cerca di inserirsi. Inoltre il romanzo riproduce uno straniamento che è proprio dei migranti di prima generazione, quando entrano in contatto con una cultura “altra”».

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